Michael Haneke, già regista di film come “La pianista” o “Il nastro bianco”, è tornato al cinema con “Amour”, il suo nuovo capolavoro interpretato da Jean Louis Trintignant ed Emmanuelle Riva.
I due protagonisti, Anne e Georges, sono due anziani coniugi ottantenni, insegnanti di musica in pensione, che trascorrono le loro giornate in serenità, circondati dalla tenerezza di cinquant’anni di vita in comune. Una mattina come tutte le altre, a colazione, Anne “si incanta”: non parla più, non sente, non reagisce. Una carotide ostruita, un incidente durante l’operazione: Anne resta paralizzata dal lato destro. Costretta prima sulla carrozzella, poi a letto, perde progressivamente consapevolezza di sé e di ciò che la circonda.
Suo marito Georges si occupa di lei al meglio delle proprie capacità, aiutato da un’infermiera ad ore. Sono mesi, anni di devozione, di cure, di tenerezze, ma anche di grande dolore, di disperazione, perché lui sa, come lo sa Anne, che, nonostante tutto il loro amore, lei non guarirà più.
I lunghi piani sequenza, i silenzi, gli interni di quella bella casa trasformata dalla malattia in una prigione ci descrivono la fine di due vite.
Haneke non si perde in quegli inutili virtuosismi di regia che tanto appesantiscono quello che oggi viene definito, molto spesso a torto, il moderno “cinema d’autore”. E nemmeno tenta di spiegare al pubblico “il senso dell’esistenza”, “quello che rende la vita davvero degna di essere vissuta” – tutte frasi vuote che sentiamo ripetere da troppo tempo e che banalizzano i cardini della vita umana al punto che ormai vengono scritte anche sulla carta dei cioccolatini. No, i personaggi di Haneke non parlano di Dio, né del destino. Anne e Georges sono due persone comuni che affrontano una disgrazia, insieme, con coraggio, nel nome di ciò che li ha uniti e che li unirà fino alla fine: l’amore.
Oskar Felix Drago
(recensione apparsa sul blog “I totani sognanti”, novembre 2012)